venerdì 4 febbraio 2011

TENEREZZA

Il setter portava chiaramente su di sé i segni della vecchiaia e, forse, di uno o più abbandoni, certamente di un'esistenza passata da randagio (pelo lungo e poco curato incrostato di sabbia), ed era steso ad occhi chiusi all'ombra di un ginepro.
L'uomo lo vide respirare affannosamente, il naso asciutto e coperto di polvere, le fauci leggermente dischiuse. A terra, di fianco al cane, vide una ciotola per l'acqua, ma era vuota, e al suo interno si era formato del calcare bianco e secco.
L' uomo sentì una fitta identica a quella che gli provocava la visione del mare. Si accucciò vicino al setter, che rimase immobile, e gli passò una mano sulla testa, sentì il pelo annodato sul collo e i ciuffi incrostati di acqua e polvere sotto il mento, tastò il naso poroso e asciutto. Il cane non aveva nemmeno la forza di aprire gli occhi.
Senza pensarci, l'uomo prese la sua bottiglia e la svuotò nella ciotola di metallo, raccolse un po' d'acqua nella mano a cucchiaio e bagnò leggermente il muso del cane, che parve risvegliarsi. Compì questo gesto per tre volte, poi il setter si alzò e bevve da solo.
L'uomo piegò all'insù l'angolo destro della bocca (nel farlo il labbro inferiore gli tremò leggermente) e continuò ad accarezzare il setter lisciandogli il pelo sulla schiena, districandogli i nodi con le dita come meglio poteva.
Poi si alzò in piedi, portò le mani ai fianchi e si voltò verso il mare. 




Scritto da Serena Lauricella
Disegno di Alice Doro
 

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