sabato 5 febbraio 2011

CHE NON DEVE FARCI CASO, LEI (CHE VA BENE COSI')

Alice è una ragazza del quartiere. Una della mia età, all'incirca, che tutti pensano che sia un po' matta.
Io non lo penso, però. Che sia matta, intendo.
La guardo sempre, dalla finestra grande del terrazzo. Aspetto per ore che passi, a piedi o in bicicletta, per la strada. E, quando la vedo, attacco il viso alla finestra e premo la fronte contro il vetro più forte che posso, che è una cosa che fa imbestialire mia madre perché dice che poi lo deve pulire, il vetro, che ci rimane lo stampo. A me, dello stampo, non importa granché.
Ci sono volte in cui mi schiaccio con così tanta forza contro il vetro che ho quasi paura che mi veda. Alice, dico. Ma so che non è possibile, perché la porta-finestra del mio terrazzo ha i vetri a specchio, quelli che ti permettono di guardare fuori senza essere visto, quelli degli interrogatori nelle centrali di polizia e delle macchine dei presidenti nei film americani. Quelli lì.
Una volta ho visto passare Alice per strada con i sacchetti della spesa. Due sacchetti, uno per mano, sembravano abbastanza leggeri. Li faceva roteare in alto, mentre camminava, colpendo i rami delle piante e facendosi cadere le foglie in testa. Rideva, e rideva così forte che la sentivo nonostante la finestra fosse chiusa. Faceva ridere qualcosa pure dentro di me, anche se non sapevo che cosa, e non sapevo se m'interessava. Qualcosa al centro dello stomaco, comunque, e profondissimo.
Fa cose strane e belle, Alice. Balza giù dall'autobus giusto un secondo prima che le porte si richiudano, centra le pozzanghere con tutti e due i piedi, scatta foto alle nuvole, parla con i gatti, ruba le rose dal giardino della vicina infilando il braccio tra le sbarre del cancello, e altre cose così. La gente crede che sia matta perché lei riesce a far coincidere esattamente il dentro con il fuori. Riesce ad essere trasparente.
Io le voglio bene, anche se non la conosco. Magari è perché sono identica a lei, senza alcuna differenza tra il dentro e il fuori, chiara e visibile come un pesce rosso nell'acquario. Ho pensato che forse è per questa ragione che, a volte, mi riparo dietro vetri impenetrabili. Che è per questa ragione, forse, che sento di voler proteggere Alice dai pensieri acidi della gente del quartiere. Di voler essere il suo vetro a specchio e respingere, far rimbalzare indietro le ostilità altrui.
Spesso, quando la guardo, appoggio la mano sulla finestra, e con l'indice, piano, accarezzo quella testa minuscola e le sussurro che non deve farci caso, lei, agli stronzi che ci sono in giro, che non deve mai trattenere le risate, anche se sono così forti che si sentono fino in fondo alla strada, che va bene così. A volte vorrei spalancare tutto e gridarglielo dal terrazzo.
Stamattina l'ho vista. Portava a spasso il cane, e una bambina perfettamente vestita e truccata da Pippi Calzelunghe l'ha fermata. Voleva fare una carezza al piccolo setter, ma poi gli ha soltanto sfiorato la coda con la punta delle dita, perché aveva paura. Si sono anche dette qualcosa che io, però, non ho sentito, perché la finestra era chiusa.
L'ho aperta.
- Lo so che non è Carnevale – ha fatto la bambina, indicando le finte lentiggini disegnate sul proprio viso.
- Ma io non ho detto niente, infatti – ha risposto Alice con un sorriso.
- Ok, ok. Era per dire. -
- Sei bella, sai? - Alice ha piegato leggermente la testa di lato. - Sembri un leopardo. -



Scritto da Serena Lauricella
Disegno di Alice Doro

venerdì 4 febbraio 2011

TENEREZZA

Il setter portava chiaramente su di sé i segni della vecchiaia e, forse, di uno o più abbandoni, certamente di un'esistenza passata da randagio (pelo lungo e poco curato incrostato di sabbia), ed era steso ad occhi chiusi all'ombra di un ginepro.
L'uomo lo vide respirare affannosamente, il naso asciutto e coperto di polvere, le fauci leggermente dischiuse. A terra, di fianco al cane, vide una ciotola per l'acqua, ma era vuota, e al suo interno si era formato del calcare bianco e secco.
L' uomo sentì una fitta identica a quella che gli provocava la visione del mare. Si accucciò vicino al setter, che rimase immobile, e gli passò una mano sulla testa, sentì il pelo annodato sul collo e i ciuffi incrostati di acqua e polvere sotto il mento, tastò il naso poroso e asciutto. Il cane non aveva nemmeno la forza di aprire gli occhi.
Senza pensarci, l'uomo prese la sua bottiglia e la svuotò nella ciotola di metallo, raccolse un po' d'acqua nella mano a cucchiaio e bagnò leggermente il muso del cane, che parve risvegliarsi. Compì questo gesto per tre volte, poi il setter si alzò e bevve da solo.
L'uomo piegò all'insù l'angolo destro della bocca (nel farlo il labbro inferiore gli tremò leggermente) e continuò ad accarezzare il setter lisciandogli il pelo sulla schiena, districandogli i nodi con le dita come meglio poteva.
Poi si alzò in piedi, portò le mani ai fianchi e si voltò verso il mare. 




Scritto da Serena Lauricella
Disegno di Alice Doro
 

sabato 29 gennaio 2011

RESPIRH2O

Scritto da Serena Lauricella
Illustrato da Alice Doro
(per ingrandire cliccare due volte l'immagine)